martedì 25 agosto 2009

AVVISO

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Emilio Bartolini, amministratore di pliocene italiano.

sabato 13 giugno 2009

LE WHALE FALL COMMUNITIES E LE SCOPERTE PLIOCENICHE TOSCANE




di Luca Oddone


Quando una balena muore, il suo corpo si rigonfia per via dei gas di decomposizione, ma è presto destinato ad affondare o a spiaggiarsi. Il più delle volte la balena morta affonda e si adagia sul fondo del mare, in modo particolare quando l'animale è denutrito. Le carcasse delle balene una volta sul fondale marino sono una ricca fonte di materia organica per gli organismi che vivono nelle profondità oceaniche. Questa nicchia ecologica, chiamata in inglese “Whale fall communities” (Comunità associate alle carcasse di balena) può selezionare particolari specie all’interno di questo ambiente che è normalmente considerato povero di nutrienti. (Video:http://www.youtube.com/watch?v=vQbGk4sHROg)
Con il passare dei giorni, gli organismi saprofiti, tra cui numerosi squali, pesci macrouridi, missinoidi ed anfipodi, convergono sulla nuova fonte alimentare e voracemente rimuovono la carne dalle ossa (il tasso di consumo è stato stimato intorno a 40 - 60 chilogrammi di carne al giorno). In molti casi la balena è messa a nudo fino all'osso nel giro di qualche mese. Ad un anno dalla deposizione sul fondale, i resti della balena ed il sedimento vicino organicamente arricchito vengono infestati da innumerevoli policheti e crostacei insoliti, così come da molluschi ed altri invertebrati. I policheti spesso coprono il fondo marino con un tappeto molto denso, fino a 45.000 animali per metro quadro, densità più elevata che in qualsiasi altro ambiente marino. Gli animali in questa comunità opportunista ricca di nutrienti si alimentano direttamente del materiale organico presente tra le ossa, i fanoni e nel sedimento circostante. Molti di questi animali sembrano essere presenti in alto mare solo nei pressi delle balene affondate e ad ogni nuova balena affondata studiata, ne spuntano nuove specie per la scienza. In questa fase sebbene gli animali siano presenti in numeri molto elevati, solo poche specie sono in realtà presenti. Una simile situazione si può osservare nei pressi di altre fonti di materiale organico ad alta concentrazione in ambiente marino, quali gli scarichi delle fogne.


Circa un anno o due dopo la caduta della balena, la maggior parte del materiale organico facilmente digeribile è stata consumata. Tuttavia, nelle profondità dell’oceano, batteri zolfo riduttori continuano ad alimentarsi dei lipidi e degli oli che si trovano all'interno delle ossa della balena. Questo processo libera gradualmente solfuro di idrogeno, che fornisce l’avvio per una terza fase, la formazioni di comunità batteriche zolfo dipendenti. Questo terzo tipo di comunità è importante per diversi motivi. Infatti, al termine di questo processo, si formano comunità che, anziché di essere basate su organismi fotosintetici, come il fitoplancton, si basano su una rete alimentare autonoma generata quasi interamente dall'energia proveniente dai batteri chemiosintetici, fornendo molte nicchie ecologiche differenti. Questo tipo di comunità che si forma cronologicamente più tardi, è stupefacente per la sua varietà. Fino a duecento specie differenti di animali macroscopici sono stati trovati su un singolo scheletro di balena. Molte di queste specie sono specificamente adattate per utilizzare le balene affondate come fonte alimentare e substrato. Queste comunità possono anche essere sorprendentemente persistenti, con una vita comunitaria sul cadavere di una grande balena affondata che può raggiungere anche più di 50 anni. Questa persistenza è particolarmente impressionante perché ogni comunità che si forma intorno ad una balena affondata è basata su una fonte alimentare transitoria. Prima o poi, le larve planctoniche degli organismi invertebrati dovranno trovare e colonizzare in qualche modo una nuova balena per sopravvivere. Ma gli affondamenti di balene è stato osservato che sono relativamente comuni. Si valuta che, basandosi sulle attuali popolazioni di balene, può affondare una balena approssimativamente ogni 5-16 chilometri, questo almeno dove le popolazioni di cetacei sono ancora numerose. Simili distanze vengono facilmente percorse dalle larve planctoniche. La caduta di balene in acque molto profonde, come all’interno di un canyon sottomarino è inoltre particolarmente interessante perché a questa profondità gli organismi saprofiti sono meno attivi, ma gli organismi zolfo riduttori possono comparire molto prima.



Ogni comunità che si forma è pressoché unica per varietà di specie presenti. Poiché molti di questi organismi sono difficili da identificare basandosi solo sulla loro morfologia, i ricercatori spesso utilizzano metodi genetici e analisi molecolari per capire i modelli evolutivi fra comunità diverse di balene affondate.La presenza di molluschi associata alle ossa di balene fossili risalenti anche a trenta milioni di anni fa suggeriscono che le comunità che si formano intorno alle balene affondate esistono almeno da quando sono comparse sul nostro pianeta le balene stesse. Dai terreni pliocenici del centro Italia, provengono molti resti di cetacei fossili scoperti alla fine del 1800, ma del tutto inutilizzabili ai fini di questi studi. La maggior parte di questi resti è infatti oggi conservata all’interno di musei, ed è decontestualizzata dal sedimento in cui è stata scoperta e dal detrito che ricopriva e si concrezionava intorno alle ossa. Solo raramente abbiamo qualche riferimento circa le specie di molluschi presenti nei dintorni dei reperti recuperati, poco o per nulla utili a ricostruire in modo approfondito la tipologia di whale fall presente.Negli ultimi venti anni, grazie al Gruppo G.A.M.P.S. di Scandicci, si è riattivato un meccanismo latente da oltre un secolo. Da anni, infatti, non venivano scoperti e recuperati un numero così elevato di reperti fossili di cetacei pliocenici. L’attività di ricerca del gruppo toscano ha permesso in pochi anni di ritrovare e consegnare al mondo scientifico sei cetacei fossili rinvenuti fra la Toscana e l’Umbria. Alla luce dei recenti studi inerenti le whale fall si è così pensato di poter approfondire anche in Italia questo studio dei sedimenti fossili, per poter meglio comprendere ed analizzare la formazione di queste comunità formatesi sulle balene affondate nell’antico bacino pliocenico della Toscana. Se consideriamo il numeroso quantitativo di fossili significativi di Mysticeti recuperati tra le colline toscane ed umbre, possiamo immaginare la soddisfazione dei Ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze (http://www.geo.unifi.it/CMpro-v-p-127.html) che proprio ieri hanno iniziato gli studi sul materiale inerente alle balene recuperate dal G.A.M.P.S. di Scandicci.



mercoledì 20 maggio 2009

Un abisso a Siena

Nuova eccezionale scoperta del gruppo GAMPS di Scandicci : Una fossa oceanica nella campagna senese.


Questa volta si tratta di un ritrovamento destinato a fare scalpore nel mondo scientifico e a modificare le ricostruzioni paleoambientali dell’antico mare che un tempo ricopriva le campagne senesi. A Castelnuovo Berardenga, località situata a qualche chilometro da Siena, sono venuti alla luce fra le celebri crete senesi, un numero straordinario di denti fossili di Chlamydoselachus anguineus, una specie di squalo dalla forma sinuosa più simile all’anguilla, e da qui il nome, che non ad un pesce.L’animale, un vero e proprio fossile vivente, si aggira ancora oggi nelle profondità oceaniche tra i 400 e i 1600 metri sotto la superficie marina, muovendosi con repentini cambi di direzione alla ricerca di prede nelle acque buie impenetrabili ai raggi del sole.



La specie fossile poteva raggiungere oltre due metri di lunghezza e pare quindi sensibilmente più grande delle popolazioni attuali tanto da poter essere considerata una specie a sé.Il ritrovamento di questi denti, e le informazioni ricavate dai sedimenti, hanno modificato in maniera sostanziale l’idea che avevamo di quella parte del Mediterraneo pliocenico che ricopriva la Toscana. Fino ad oggi, infatti, si pensava che nel Pliocene medio (circa tre milioni di anni fa) il bacino marino senese non fosse particolarmente profondo, convinzione che la presenza di forme di vita abissali come il Chamydoselachus e il Centrophorus granulosus hanno confutato, tanto da sostituire lo scenario tradizionale con uno nuovo più variegato e complesso, nel quale zone costiere o di mare basso si alternavano a veri abissi che prendevano forma a poca distanza dalla riva, là dove una breve piattaforma di costa lasciava il posto alla ripida scarpata continentale.I denti di Chlamydoselachus, così rari e preziosi, sono stati oggetto di una importante ricerca ora pubblicata sulla rivista internazionale CAINOZOIC RESEARCH:



A small fossil fish fauna, rich in Chlamydoselachus teeth, fromthe Late Pliocene of Tuscany (Siena, central Italy)Franco Cigala Fulgosi, Simone Casati, Alex Orlandini & Davide Persico




Uno degli autori di tale lavoro, il professor Cigala Fulgosi, docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra di Parma, considerato fra i massimi esperti al mondo di squali fossili, ha rimarcato anche il fatto che questo numero straordinariamente elevato di denti, alcune centinaia, sia stato ritrovato in un’area relativamente ristretta. Ciò fa pensare ad una insolita concentrazione di questa specie dovuta forse alla presenza di correnti marine particolarmente ricche di nutrimento o alla presenza nell’area di condizioni decisamente favorevoli alla riproduzione di questi squali. Il valore scientifico della scoperta sta nel fatto che siamo riusciti a determinare con esattezza una fossa oceanica al margine di una scarpata continentale, una sorta di canyon sottomarino non molto distante dalla costa dove si concentravano centinaia di squali che attualmente si trovano solo fuori dal Mar Mediterraneo e, soprattutto, a profondità abissali.Grazie ai reperti raccolti in oltre tre anni di ricerche, abbiamo una fotografia di un momento di transizione tra la grande apertura post-messiniana avvenuta nel Pliocene inferiore e la messa in posto delle condizioni geografiche ed ecologiche del mediterraneo attuale. Una massiccia concentrazione di questi squali arcaici, offre una grande possibilità per capire quali e quanti cambiamenti ha subito il Mar Mediterraneo negli ultimi 5 milioni di anni.Possiamo aggiungere che è la prima volta che abbiamo un rapporto diretto fra i denti dello squalo serpente e le informazioni ricavate dal sedimento in cui si sono depositati 3,5 milioni di anni fa. Ancora una volta mi sento di dire che il lavoro portato avanti dal gruppo GAMPS di Scandicci ha messo in pratica una grande opportunità scientifica valorizzando nuovamente il patrimonio storico naturalistico non solo della regione Toscana, ma in un certo qual modo di tutta la paleontologia italiana nel contesto internazionale.








Cenni storici




La storia di questa specie di squalo ha inizio in Toscana verso la fine del 1870. Premetto che sono stati scoperti prima i resti fossili e poi l’esemplare vivente. Il primo scopritore si chiamava Roberto Lawley (1818-1881). Roberto Lawley , uno dei più grandi naturalisti dell’800, mentre perlustrava le campagne di una Toscana molto diversa da quella che conosciamo oggi, notò per terra uno strano dente che lo lasciò molto perplesso! Egli ne trovò altri, ma non avendo nessun riferimento scientifico si trovò costretto ad accantonare quegli strani oggetti. Erano anni in cui, a causa delle enormi distanze, era molto difficile reperire le specie viventi ed i musei, purtroppo, non possedevano le collezioni che abbiamo la fortuna di vedere oggi. Molti animali erano sconosciuti, soprattutto quelli che vivevano a profondità abissali. I giorni trascorrevano senza fornire una risposta o un segnale che potesse dare un senso a quella scoperta; e così, nel 1876, nel suo lavoro “Nuovi studi sopra ai pesci ed altri vertebrati delle colline toscane”, Lawley lo presentò al mondo scientifico con queste testuali parole: "La radice ha due rami, è quasi saldata per tutta la sua lunghezza, ma sul davanti, giust’appunto nella sua saldatura, sorge il dente centrale e forma con i due laterali tutto un dente; il loro apice cambia di colore atteso essere tutto dentina ed è trasparente. I denti sono flessuosi e la radice fa quasi angolo retto con essi. Di questi denti ne possiedo due perfettamente completi, e sette più o meno mutilati, ma tutti egualmente conformati, e riconoscibili: mi provengono tutti da Orciano Pisano, dove sembrano rarissimi. Per quanto io abbia osservato, non mi è stato possibile di vedere un dente simile né viventi, né rappresentato in disegno né di pesci né di rettili”. Purtroppo Lawley fu stroncato da un male improvviso nel 1881; molti dei suoi studi rimasero incompiuti e la maggior parte dei reperti fossili raccolti andò dispersa (compresi i nove denti da lui raccolti). Tre anni dopo la sua morte, fu pescato uno strano essere nel mare del Giappone: uno squalo appunto. Un certo Samuel Garman (1846-1927), di professione Zoologo, venne a conoscenza di tale avvenimento e recatosi sul posto, ebbe la possibilità di poterlo studiare dando il nome alla specie nel 1884.


Ironia della sorte? Chissà!

L’unica cosa certa è che il nostro Lawley morì senza sapere a che genere di animale appartenesse quel dente.


La scoperta


Nel maggio 2001, durante una ricerca sui sedimenti marini di Castelnuovo Berardenga, Simone Casati e Marco Zanaga, ricercatori accreditati presso la Soprintendenza alle Antichità della Toscana, segnalavano alla Dott.ssa Silvia Goggioli (Ispettrice della zona in questione) ed al Dott. Franco Cigala Fulcosi, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Parma, la scoperta di un giacimento a ittiodontoliti di elasmobranchi (denti di squali) unico al mondo per la frequenza di Chlamydoselachus anguineus Garman, 1884. La pubblicazione scientifica, frutto di oltre tre anni di ricerche, descrive una minuziosa classificazione delle faune presenti nei depositi del Pliocene Medio di C. Berardenga Scalo.Attualmente il Chlamydoselachus, la cui distribuzione geografica lo colloca al di fuori dell’attuale Mar Mediterraneo, viene considerato uno squalo dalle caratteristiche preistoriche. Attualmente non esiste nessun museo al mondo che vanta di possedere questi denti fossili nelle proprie collezioni, ad eccezione del Museo del Gruppo Avis Mineralogia Paleontologia di Scandicci (GAMPS) a Badia a Settimo, dove la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ha predisposto che questi denti fossero musealizzati.





La morfologia dello squalo dal collare è sicuramente particolare:



1. La bocca è in posizione frontale, al contrario della bocca ventrale presente negli squali moderni.



2. I denti sono tricuspidali, presentano cioè tre punte (cuspidi), una centrale e due laterali leggermente più piccole. Questo apparato dentale serve per predare piccoli pesci, molluschi e crostacei.



3. La pinna caudale è molto allungata, a forma di lancia, ed è presente soltanto il lobo superiore.



4. Possiede sei fessure branchiali (in quasi tutti gli squali sono cinque), molto estese, quasi ad unirsi in entrambi i lati (da qui “squalo dal collare”) ed esse sono frangiate, cioè sono presenti piccole porzioni di pelle simili a frange.



5. L’unica pinna dorsale è molto piccola ed arretrata, in corrispondenza alla pinna anale ed anche le pinne pettorali sono corte ed arrotondate.La riproduzione è probabilmente vivipara aplacentata (le uova si schiudono all’interno dell’utero materno) ed i periodi di gestazione sembrano essere molto lunghi.La colorazione dello squalo dal collare è marrone scuro o grigio, in entrambi i casi abbastanza uniforme in tutto il corpo.Come già accennato, a causa delle sue abitudini “profonde”, è quasi impossibile incontrare il Chlamydoselachus anguineus durante una immersione ed i pochi esemplari che sono stati osservati vengono quasi sempre trovati all’interno delle reti a strascico dei pescherecci oceanici.

ARTICOLO SCRITTO DA LUCA ODDONE

domenica 29 marzo 2009

Il GAMPS e le sue scoperte su youtube

Simone Casati, presidente del GAMPS (guruppo avis mineralogia e paleontologia di Scandicci) e autore di innumerevoli scoperte scoperte paleontologiche di grande importanza a livello mondiale (Balena di Castelfiorentino, balena di Montalcino, delfino di Pienza, ecc. ecc.) ha da tempo creato un canale su youtube dove è possibile trovare oltre 100 video che documentano ampliamente l'attività del gruppo.
Molti riguardano gli scavi, il restauro e la successiva musealizzazione dei resti fossili di vertebrati trovati dal GAMPS; altri la semplice attività di perlustrazione del territorio toscano alla ricerca di denti di squalo o molluschi; altri ancora le attività didattiche organizzate dal gruppo.

Ecco il link:http://www.youtube.com/user/hunterwhales

sabato 28 marzo 2009

Sesta mostra nazionale di minerali, fossili e conchiglie attuali CERTALDO

I giorni Sabato 18 e Domenica 19 Aprile 2009 si terrà a Certaldo la sesta mostra nazionale di minerali, fossili e conchiglie attuali.
Questa mostra è una delle più belle e ricche d'Italia; nel visitarla si possono incontrare appassionati di paleontologia provenienti da tutt'Italia con reperti che vanno dai molluschi pliocenici alle trilobiti del marocco.

La mostra è molto ricca anche dal punto di vista mineralogico e malacologico; non solo, ma vi si possono trovare attrezzature per mireralogia, paleontologia e malacologia a prezzi piuttosto buoni.

La sede della mostra è la scuola media statale G. Boccaccio in via G. Leopardi.

Partecipate!

sabato 21 marzo 2009

Nuova scoperta per il GAMPS: una balena ad Empoli

Il 9 Marzo 2009 nella cava di Spicchio, uno dei più ricchi e conosciuti giacimenti toscani, situata a ridosso dell'abitato di Empoli, Simone Casati ha rinvenuto frammenti di cranio e mandibola di un vertebrato, che sono stati riconosciuti da Casati come resti di una balena, un cetaceo che 3 milioni di anni fa si aggirava fra Empoli e la Val d'Elsa.
Verrà quindi messo a disposizione del GAMPS di Scandicci il cui presidente si è reso artefice dell'ennesima scoperta un escavatore con il quale si potranno capire lo stato di conservazione e le dimensioni del misticeto.
Per Simone Casati e il gruppo AVIS mineralogia e paleontologia di Scandicci (GAMPS) questa è solo l'ultima di una serie di scoperte di grande importanza (l'ultima, una foca rinvenuta nei pressi di Siena, risale appena a 1 mese fa).
La cava di Spicchio, già molto conosciuta fra gli appassionati di paleontologia toscani per la ricchezza di malacofaune fossili, nel pliocene era un fondo marino tropicale di bassa profondità (piano infralitorale o al massimo circalitorale) molto vicino alla costa; la balene deve quindi essersi arenata.
Appena saranno disponibili foto e altre informazioni non tarderò a pubblicarle.

mercoledì 4 marzo 2009

Il delfino di Pienza

Circa due anni fa, il fiorentino Simone Casati, appassionato di paleontologia, autore di numerosissime scoperte (balena di Castelfiorentino, balena di montalcino, balena di Allerona ecc. ecc. ecc.) attuale presidente del gruppo GAMPS di Scandicci si rese autore di un'altra sensazionale scoperta: un cranio, molto ben conservato di un delfino rinvenuto nei pressi di pienza, nella zona di Lucciolabella.
Questo ritrovamento è di grandissima importanza: si tratta dell'unico cranio mai trovato a livello mondiale di Stenella giulii, un delfino che 3 milioni di anni fa nuotava nella campagna senese, fra quelli che oggi sono i famosi calanchi della Val D'Orcia.

In realtà era già da un anno che erano stati trovati i primi denti dell'animale ma il cranio stava ancora aspettando sotto l'argilla che lo
custodiva da milioni di anni.

Insieme al cranio sono state recuperate alcune vertebre e adesso il reperto è conservato in una teca nel piccolo ma ricchissimo museo geopaleontologico di Badia a Settimo presso Scandicci.

La Stenella giulii è un rarissimo odontoceto i cui resti vennero per la prima volta trovati nei pressi di Orciano Pisano e catalogati come Delphinus giulii da Robert Lawley, ma mai erano stato trovato un intero cranio, importantissimo per capire l'attribuzione sistematica della specie vista la presenza in esso di caratteri distintivi molto importanto (ossa uditive).

Nelle foto gentilmente concesse da Simone Casati : il cranio restaurato è esposto nel museo di Badia a Settimo insieme alle poche vertebre rinvenute.

Nella prima immagine: Il paesaggio della Val D'Orcia, nella zona dove è stato rinvenuto l'importante reperto.