mercoledì 20 maggio 2009

Un abisso a Siena

Nuova eccezionale scoperta del gruppo GAMPS di Scandicci : Una fossa oceanica nella campagna senese.


Questa volta si tratta di un ritrovamento destinato a fare scalpore nel mondo scientifico e a modificare le ricostruzioni paleoambientali dell’antico mare che un tempo ricopriva le campagne senesi. A Castelnuovo Berardenga, località situata a qualche chilometro da Siena, sono venuti alla luce fra le celebri crete senesi, un numero straordinario di denti fossili di Chlamydoselachus anguineus, una specie di squalo dalla forma sinuosa più simile all’anguilla, e da qui il nome, che non ad un pesce.L’animale, un vero e proprio fossile vivente, si aggira ancora oggi nelle profondità oceaniche tra i 400 e i 1600 metri sotto la superficie marina, muovendosi con repentini cambi di direzione alla ricerca di prede nelle acque buie impenetrabili ai raggi del sole.



La specie fossile poteva raggiungere oltre due metri di lunghezza e pare quindi sensibilmente più grande delle popolazioni attuali tanto da poter essere considerata una specie a sé.Il ritrovamento di questi denti, e le informazioni ricavate dai sedimenti, hanno modificato in maniera sostanziale l’idea che avevamo di quella parte del Mediterraneo pliocenico che ricopriva la Toscana. Fino ad oggi, infatti, si pensava che nel Pliocene medio (circa tre milioni di anni fa) il bacino marino senese non fosse particolarmente profondo, convinzione che la presenza di forme di vita abissali come il Chamydoselachus e il Centrophorus granulosus hanno confutato, tanto da sostituire lo scenario tradizionale con uno nuovo più variegato e complesso, nel quale zone costiere o di mare basso si alternavano a veri abissi che prendevano forma a poca distanza dalla riva, là dove una breve piattaforma di costa lasciava il posto alla ripida scarpata continentale.I denti di Chlamydoselachus, così rari e preziosi, sono stati oggetto di una importante ricerca ora pubblicata sulla rivista internazionale CAINOZOIC RESEARCH:



A small fossil fish fauna, rich in Chlamydoselachus teeth, fromthe Late Pliocene of Tuscany (Siena, central Italy)Franco Cigala Fulgosi, Simone Casati, Alex Orlandini & Davide Persico




Uno degli autori di tale lavoro, il professor Cigala Fulgosi, docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra di Parma, considerato fra i massimi esperti al mondo di squali fossili, ha rimarcato anche il fatto che questo numero straordinariamente elevato di denti, alcune centinaia, sia stato ritrovato in un’area relativamente ristretta. Ciò fa pensare ad una insolita concentrazione di questa specie dovuta forse alla presenza di correnti marine particolarmente ricche di nutrimento o alla presenza nell’area di condizioni decisamente favorevoli alla riproduzione di questi squali. Il valore scientifico della scoperta sta nel fatto che siamo riusciti a determinare con esattezza una fossa oceanica al margine di una scarpata continentale, una sorta di canyon sottomarino non molto distante dalla costa dove si concentravano centinaia di squali che attualmente si trovano solo fuori dal Mar Mediterraneo e, soprattutto, a profondità abissali.Grazie ai reperti raccolti in oltre tre anni di ricerche, abbiamo una fotografia di un momento di transizione tra la grande apertura post-messiniana avvenuta nel Pliocene inferiore e la messa in posto delle condizioni geografiche ed ecologiche del mediterraneo attuale. Una massiccia concentrazione di questi squali arcaici, offre una grande possibilità per capire quali e quanti cambiamenti ha subito il Mar Mediterraneo negli ultimi 5 milioni di anni.Possiamo aggiungere che è la prima volta che abbiamo un rapporto diretto fra i denti dello squalo serpente e le informazioni ricavate dal sedimento in cui si sono depositati 3,5 milioni di anni fa. Ancora una volta mi sento di dire che il lavoro portato avanti dal gruppo GAMPS di Scandicci ha messo in pratica una grande opportunità scientifica valorizzando nuovamente il patrimonio storico naturalistico non solo della regione Toscana, ma in un certo qual modo di tutta la paleontologia italiana nel contesto internazionale.








Cenni storici




La storia di questa specie di squalo ha inizio in Toscana verso la fine del 1870. Premetto che sono stati scoperti prima i resti fossili e poi l’esemplare vivente. Il primo scopritore si chiamava Roberto Lawley (1818-1881). Roberto Lawley , uno dei più grandi naturalisti dell’800, mentre perlustrava le campagne di una Toscana molto diversa da quella che conosciamo oggi, notò per terra uno strano dente che lo lasciò molto perplesso! Egli ne trovò altri, ma non avendo nessun riferimento scientifico si trovò costretto ad accantonare quegli strani oggetti. Erano anni in cui, a causa delle enormi distanze, era molto difficile reperire le specie viventi ed i musei, purtroppo, non possedevano le collezioni che abbiamo la fortuna di vedere oggi. Molti animali erano sconosciuti, soprattutto quelli che vivevano a profondità abissali. I giorni trascorrevano senza fornire una risposta o un segnale che potesse dare un senso a quella scoperta; e così, nel 1876, nel suo lavoro “Nuovi studi sopra ai pesci ed altri vertebrati delle colline toscane”, Lawley lo presentò al mondo scientifico con queste testuali parole: "La radice ha due rami, è quasi saldata per tutta la sua lunghezza, ma sul davanti, giust’appunto nella sua saldatura, sorge il dente centrale e forma con i due laterali tutto un dente; il loro apice cambia di colore atteso essere tutto dentina ed è trasparente. I denti sono flessuosi e la radice fa quasi angolo retto con essi. Di questi denti ne possiedo due perfettamente completi, e sette più o meno mutilati, ma tutti egualmente conformati, e riconoscibili: mi provengono tutti da Orciano Pisano, dove sembrano rarissimi. Per quanto io abbia osservato, non mi è stato possibile di vedere un dente simile né viventi, né rappresentato in disegno né di pesci né di rettili”. Purtroppo Lawley fu stroncato da un male improvviso nel 1881; molti dei suoi studi rimasero incompiuti e la maggior parte dei reperti fossili raccolti andò dispersa (compresi i nove denti da lui raccolti). Tre anni dopo la sua morte, fu pescato uno strano essere nel mare del Giappone: uno squalo appunto. Un certo Samuel Garman (1846-1927), di professione Zoologo, venne a conoscenza di tale avvenimento e recatosi sul posto, ebbe la possibilità di poterlo studiare dando il nome alla specie nel 1884.


Ironia della sorte? Chissà!

L’unica cosa certa è che il nostro Lawley morì senza sapere a che genere di animale appartenesse quel dente.


La scoperta


Nel maggio 2001, durante una ricerca sui sedimenti marini di Castelnuovo Berardenga, Simone Casati e Marco Zanaga, ricercatori accreditati presso la Soprintendenza alle Antichità della Toscana, segnalavano alla Dott.ssa Silvia Goggioli (Ispettrice della zona in questione) ed al Dott. Franco Cigala Fulcosi, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Parma, la scoperta di un giacimento a ittiodontoliti di elasmobranchi (denti di squali) unico al mondo per la frequenza di Chlamydoselachus anguineus Garman, 1884. La pubblicazione scientifica, frutto di oltre tre anni di ricerche, descrive una minuziosa classificazione delle faune presenti nei depositi del Pliocene Medio di C. Berardenga Scalo.Attualmente il Chlamydoselachus, la cui distribuzione geografica lo colloca al di fuori dell’attuale Mar Mediterraneo, viene considerato uno squalo dalle caratteristiche preistoriche. Attualmente non esiste nessun museo al mondo che vanta di possedere questi denti fossili nelle proprie collezioni, ad eccezione del Museo del Gruppo Avis Mineralogia Paleontologia di Scandicci (GAMPS) a Badia a Settimo, dove la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ha predisposto che questi denti fossero musealizzati.





La morfologia dello squalo dal collare è sicuramente particolare:



1. La bocca è in posizione frontale, al contrario della bocca ventrale presente negli squali moderni.



2. I denti sono tricuspidali, presentano cioè tre punte (cuspidi), una centrale e due laterali leggermente più piccole. Questo apparato dentale serve per predare piccoli pesci, molluschi e crostacei.



3. La pinna caudale è molto allungata, a forma di lancia, ed è presente soltanto il lobo superiore.



4. Possiede sei fessure branchiali (in quasi tutti gli squali sono cinque), molto estese, quasi ad unirsi in entrambi i lati (da qui “squalo dal collare”) ed esse sono frangiate, cioè sono presenti piccole porzioni di pelle simili a frange.



5. L’unica pinna dorsale è molto piccola ed arretrata, in corrispondenza alla pinna anale ed anche le pinne pettorali sono corte ed arrotondate.La riproduzione è probabilmente vivipara aplacentata (le uova si schiudono all’interno dell’utero materno) ed i periodi di gestazione sembrano essere molto lunghi.La colorazione dello squalo dal collare è marrone scuro o grigio, in entrambi i casi abbastanza uniforme in tutto il corpo.Come già accennato, a causa delle sue abitudini “profonde”, è quasi impossibile incontrare il Chlamydoselachus anguineus durante una immersione ed i pochi esemplari che sono stati osservati vengono quasi sempre trovati all’interno delle reti a strascico dei pescherecci oceanici.

ARTICOLO SCRITTO DA LUCA ODDONE